di Elizabeth Strout
A cinque anni da Olive Kitteridge riecco la Strout con un altro ottimo
romanzo: da quel Premio Pulitzer che mi aveva avvinta, inquietata e
commossa, ad una nuova storia familiare dalle mille sfaccettature. Tre
personaggi, i fratelli Burgess, che non possono non affascinarti, nella
loro urticante distanza dalla perfezione, sia nei rapporti
interpersonali che nello scorrere delle distinte vite. Il maggiore, Jim,
idolatrato dagli altri due, gemelli, per la sua arrogante avvenenza, la
grande capacità di gestire ogni situazione, i brillanti successi
personali, pare essere sempre in grado di fare il gesto giusto, se si
esclude lo sgarbo con cui si approccia ad essi. Ogni sua parola è un
insulto, un dispregio sbattuto in faccia, eppure lo amano. Susan,
fallita moglie e sorella incapace di accogliere neppure con un piatto
caldo o una temperatura decente delle stanze di casa, si affligge per il
proprio figlio Zach, altrettanto disadattato e triste. Bob, che tra
tutti pare la figura meno negativa, omone malinconico e solo,
abbandonato dalla moglie, senza figli, senza amici, senza passatempi
soddisfacenti, pare sopportare tutto sulle ampie spalle: l'indifferenza
della gemella, il disprezzo del fratello, l'abbandono della moglie,
l'apatia del nipote. Un drammatico evento scuote la vita nel Maine, a
Shirley Falls: Zach compie un atto di razzismo nei confronti della
comunità somala immigrata. La vita di sua madre e dell'intero paese
viene sconvolta; occorre richiamare a casa gli zii, da tempo trasferiti a
New York. E riportare a galla dissapori, incomprensioni, antiche
tragedie e lontani dolori in un susseguirsi di ricordi e di ritorni al
presente, sempre carico di domande e di dubbi. Elizabeth Strout non
delude, ma come sempre affascina, prende e rapisce, vorresti che la
storia continuasse ancora perchè, alla fine, ami quei personaggi così
"sbagliati" come se facessero parte del tuo quotidiano. Prosa
ineccepibile, particolari deliziosi, descrizioni perfette. Ottimo.
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