Mi guardi (gli occhi si abbassano e scorrono la persona, si fermano sulle spalle, sondano la forza). Mi sorridi, ma dal sorriso parte un'onda di distacco che percepisco a pelle e sfiora come una scossa il mio essere. Mi parli senza sostenere lo sguardo, di solito, cerchi il discorso vago, punti su di te... come va, allora tutto bene... (ma chi sei, cosa pensi di aver raggiunto). Mi giudichi con nonchalance... certo che è stata una soddisfazione per te... mentre fremi e vorresti essere altrove (non sei nessuno, poveretta). Mi fai domande senza attendere risposta perchè non vuoi risposta; le tue domande sarebbero altre (cosa sono le tue: frustrazioni?... chi credi di essere: Umberto Eco?). Mi saluti e toccandoti ripercepisco la scossa, il gelo che vorrebbe assorbirmi.
Ti piace darti nomi nobili e di questi ti ammanti: verità... giustizia... logica... serietà. Ma ormai ho imparato a conoscerti, ti tengo lontano perchè so chi sei. Il tuo nome ora ho imparato: invidia, e non ti temo troppo; mi ferisci ogni volta, ma il male maggiore è quello che fai a te sola.
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